Quasi tutti sappiamo com’è nata Internet, o almeno la maggior parte di noi conosce  la storia dei militari americani che tramite l’agenzia ARPA negli anni ‘60 avevano messo in piedi un sistema di comunicazione basato su cavi e smistatori di segnali elettrici (router) che doveva avere caratteristiche di resilienza, anche contro attacchi mirati e a malfunzionamenti casuali. 

Molte presto questo sistema di comunicazione digitale si è esteso al mondo accademico e poi a quello business. Le informazioni che circolavano su questa rete a diffusione planetaria erano in qualche modo generate da operatori informatici che popolavano i database e creavano file di ogni genere.

Ad aumentare di molto la generazione di contenuti ci ha pensato il World Wide Web, quasi un strato ulteriore sopra Internet, nato nei laboratori del CERN ad opera di un fisico (Tim Berners Lee), che ha consentito l’accesso a un amplissima platea di utenti di interagire e anche di creare dei propri contenuti (si pensi anche al fenomeno dei Social Network, come Facebook, Instagram e Twitter, per citare i più noti).

Cosa significa quindi “Internet of  Things” (IoT), Internet delle Cose, e che nuova visione ci sta proponendo?  La parola chiave è “cose”, cose che producono informazioni che possono viaggiare sulla rete globale e che possono virtualmente parlare tra di loro. 

Siamo sempre stati abituati ad associare la produzione delle informazioni agli operatori umani, ma con l’avvento di dispositivi dotati di sensori possiamo immaginare uno scenario completamente diverso. Nelle Smart City per esempio abbiamo ovunque sensori che misurano temperature e inquinamento in vari punti strategici delle città. 

Abbiamo telecamere che riprendono persone e veicoli a ciclo continuo e sensori che segnalano il nostro passaggio nelle strade e negli edifici. Sono tutte cose che in effetti sono sempre esistite, ma ora c’è una grossa novità: questi stessi dispositivi, oltre a percepire il mondo che li circonda, sono anche dotati di un apparato di comunicazione che è in grado di trasferire questi dati su Internet, anche in modalità wireless,  per poi magari essere archiviati in qualche database di un Data Warehouse o un sistema cloud di Data Lake.

Accade la stessa cose nelle linee di produzione delle industrie manifatturiere (e non solo), dove i macchinari hanno dei sensori che misurano i parametri di funzionamento nelle linee di produzione e le trasmettono ai sistemi informativi aziendali che li possono analizzare per efficientarne le prestazioni, anche nell’ottica di prevederne potenziali malfunzionamenti. 

Anche noi con i nostri smartphone che ci seguono ovunque siamo in una situazione simile. Il nostro cellulare è dotato di tanti sensori: accelerometri, GPS per il posizionamento geografico, sensori di luce e così via, per non parlare degli Smartwatch, che vanno tanto di moda oggi, e che sono in grado di misurare parametri fisiologici “intimi” come il battito cardiaco. 

Questi sono tutti dati di nuova generazione, che derivano da una sorta di sensorizzazione del mondo da parte di Internet e che stanno ulteriormente facendo crescere la grande massa dei cosiddetti Big Data.

Quindi oggi quando vediamo un’entità informativa online non possiamo escludere che sia la rappresentazione di un oggetto che vive nel mondo fisico e che prende forma nel virtuale semplicemente perché è in grado di farsi percepire avendo una propria autonomia nel generare dati. Per estensione anche il “WWW” potrebbe essere toccato da questo fenomeno. 

Si parla infatti anche di “Web of Things”, cioè della possibilità che una “cosa” possa essere rappresentata da una pagina Web. Lo strato virtuale rimane lo stesso, il protocolli di comunicazione ugualmente, ma la natura di quello che c’è dietro potrebbe essere umana o inanimata. Le applicazioni di questi concetti sono potentissime. 

Se possiamo far parlare gli umani con le cose e le cose tra di loro con un sistema universale come la rete Internet potremmo avere delle ricadute davvero impensabili. Connettere i dati del meteo in tempo reale, con il funzionamento degli impianti idrici, con la disponibilità di energia nelle centrali, con la generazione di energie rinnovabili, con i flussi di automobili, anche elettriche, nelle città, magari prendendo in considerazione le condizioni del traffico, tutto questo potrebbe portare a un controllo della complessità mai raggiunto in passato, con evidenti vantaggi economici e di stabilità dei nostri ecosistemi. 

Quindi quando giriamo per le città e vediamo un monopattino elettrico abbandonato in un angolo di qualche strada che ci sembra inattivo e solitario possiamo essere sicuri che non sia così. Magari qualcuno lo ha intercettato con la propria app sul cellulare, potendo verificare il suo stato di carica. Magari lo ha anche già bloccato e sta per raggiungerlo e se in quel momento provate a muoverlo state certi che protesterà con qualche suono di allarme. Sono tra le tante  nuove “cose collegate” a Internet che gradualmente stanno prendendo vita e che ci faranno compagnia per molti anni a venire.